SPARISCE IL COMMA “AMMAZZA-BLOG”, VINCE LA DISINFORMAZIONE.

Saran contenti i blogger lamentosi, pare che il famigerato comma “ammazza-blog” (solita sciagurata denominazione) sparisca, almeno per quanto riguarderà, appunto, i blog. L’equiparazione tra testate giornalistiche e siti amatoriali non ci sarà, quindi solo le testate online registrate come siti d’informazione avranno l’obbligo di rettifica entro 48 ore, pena la multa.

Ha vinto, dunque, il Popolo Viola, ha vinto la sua inutile battaglia-sceneggiata Wikipedia e han vinto (ma poi bisognerà vedere effettivamente cosa dirà il ddl modificato) i blogger con la bava alla bocca che devono sempre sparare m…a in faccia a chi non la pensa come loro e vogliono vivere in un’anarchia digitale fatta di invettive, diffamazioni, sputtanamenti perenni (tutto, in Rete, è eterno), false notizie (vi ricordo ancora la catena di sant’Antonio sulla presunta legge salva-pedofili) e parole in libertà.

Ma d’altronde l’Italia è il paese delle chiacchiere, delle lamentele, delle diffamazioni e degli impuniti… Non poteva che finire così.

Auguri.

 

 

WIKIPEDIA, STAVOLTA HAI TOPPATO (sulla sua pseudo-chiusura).

Massima stima per Wikipedia… Ma stavolta ha toppato. In segno di protesta per le misure del cosiddetto ddl intercettazioni, pubblica una pagina di comunicato con la quale, praticamente, si autosospende. Per carità, tutti liberi di protestare e bene o male in qualsiasi forma… Ma scrivere “la pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c’è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero” è palesemente una… Ci siamo capiti.

Certo, la famosa norma che, se mai il ddl dovesse diventare legge, obbligherebbe i blogger a pubblicare la rettifica di chi dovesse sentirsi leso da quanto scritto, contiene alcuni punti molto discutibili (come la non contro-replica del blogger e la grande difficoltà d’identificare davvero l’interessato) e ovviamente può essere contrastata fin che si vuole, ma certo non porterebbe mai e poi mai alla chiusura di Wikipedia, né alla tanto gridata quanto assurda e inconsistente censura di Stato.

Come già espresso nel post precedente, poi, la norma è da ritenersi nella sostanza giusta, perché è vero che già esiste il reato di diffamazione (come Wikipedia ricorda) ma è anche vero che prima che in Italia si arrivi a una sentenza passano decine d’anni e nel frattempo la reputazione è già andata a farsi friggere – non facciamo finta di non saperlo.

Quel che sappiamo tutti, invece, è che lamentarsi è lo sport preferito di chi scrive in Internet (e degli Italiani tutti), così come far passare per vere cose insulse. Su Facebook, infatti, gira la pagina “Rivogliamo Wikipedia – No alla legge bavaglio che fa credere che Wikipedia non si sia auto-sospesa, bensì censurata dal Governo.

Puttanata intercontinentale.

 

 

AGGIORNAMENTO, IL COMMA SPARISCE: https://madario.wordpress.com/2011/10/06/sparisce-il-comma-ammazza-blog-vince-la-disinformazione/

 

 

FATECE DIFFAMÀ, SEMO BLOGGER (sulla nuova, ridicola protesta del Popolo Viola).

I partigiani (dei miei stivali) son tornati. Sono i blogger o presunti tali (praticamente il cosiddetto Popolo Viola. Oddio… Vabbè) che protestano per la proposta di legge che equiparerebbe, in qualche modo, i blog alle testate giornalistiche. Praticamente, li obbligherebbe a ospitare rettifiche da parte di chi le dovesse richiedere.

Sono (molto modestamente) un blogger anch’io. E mi chiedo: “Embè, dov’è il problema?”. Ospitare entro 48 ore una rettifica, pena una (forte) multa mi pare il minimo, di fronte, per esempio, all’evidente enorme potenziale distruttivo di una notizia falsa o diffamante diffusa sul web, e cioè alla portata d’infinite persone e per sempre.

Scrivere su Internet, amici miei, non è come chiacchierare al bar. Non è come appiccicare un foglietto sulla colonna di una piazza che alla prima folata di vento se ne va. Pubblicare qualcosa su Internet è lasciare uno scritto imperituro e leggibile, il più delle volte, da tutti.

I blog sono giocoforza equiparabili alle testate giornalistiche, le quali, appunto, già ora devono sottostare a specifiche norme di tutela della privacy, di giusta informazione (intesa come divieto di pubblicazione di notizie false) e di non diffamazione (che poi quotidianamente, almeno in Italia, le testate giornalistiche non si attengano alla Legge è un altro discorso). Non so a voi… Ma a me pare una cosa evidente.

Ovviamente, poi, non c’entra nulla la libertà di stampa, pensiero, parola ed espressione. La libertà di parola non è e non può essere la libertà di diffamazione (ricordate la solita bufala che ogni tanto torna fuori riguardo alla fantomatica legge salva-pedofili?) e ospitare una rettifica è solo una questione di rispetto, correttezza e questa volta sì, di libertà. Quella di replica.

Legge-bavaglio? Ma per favore.

 

 

RIDIAMO TUTTI: SANTORO NON POTRA’ FARE QUELLO CHE VUOLE A LA7.

Da ridere. La7 sospende le trattative con Santoro per “inconciliabili posizioni riguardo alla gestione operativa dei rapporti tra autore ed editore”. Da ridere. Ahahah!!!

Sì perché magari stavolta il tribuno Santoro si renderà conto di quanto in un’azienda privata non possa pretendere di fare tutto quello che gli pare senza dover rispondere a niente e a nessuno e senza dover sottostare come tutti i giornalisti di questo mondo (e in generale, come tutti i lavoratori) a delle logiche ed essenziali norme che regolano il rapporto tra dipendente e datore di lavoro.

Stavolta forse capirà che solo alla Rai, la Rai pagata da tutti i cittadini e di cui tanto si dichiarava vittima e che però l’ha mandato (giustamente) in onda sempre e comunque, può dileggiare il proprio direttore (vedi Masi; provate voi a prendere per i fondelli il vostro capo di fronte a milioni di persone e poi vediamo cosa succede) e sbattere in faccia agli abbonati tutta la sua arroganza e supponenza.

Imparerà la lezione? Se devo essere sincero, non credo. Piangerà ancora e si lamenterà della minima libertà di parola in questo Paese, già aiutato da Leoluca Orlando (Idv) che ormai ha sentenziato: “È chiaro a tutti che l’editto bulgaro emanato dal presidente del Consiglio nei confronti di trasmissioni sgradite a Palazzo Chigi come Annozero non solo è ancora in vigore, ma ha ormai superato il duopolio Rai-Mediaset”.

Lui chiagnerà, e magari anche la Telecom, il cui titolo è crollato… Intanto noi ridiamo.

 

 

 

BRUNETTA SBAGLIA CON I CONTESTATORI (PRECARI) MA I GIORNALI FANNO PEGGIO.

Notiziuncola del giorno: Brunetta tratta male chi lo contesta (sai che novità) e subito passa per quello che disprezza i precari. Precari in quanto tale, s’intende. Tutti i precari, perché sarebbero “l’Italia peggiore”.

Una colossale baggianata, ovviamente. Perché Brunetta pronuncia, sì, tali parole (e in faccia)… Ma non rivolgendosi “ai precari” di tutt’Italia, bensì a quelli che in quel preciso momento (alla “Giornata Nazionale dell’Innovazione” che si è tenuta a Roma) lo contestano.

Il ministro, va detto, si comporta malissimo, perché prima li invita sul palco, poi, appena questi pronunciano due parole, se ne va indispettito, definendoli “l’Italia peggiore”, appunto, e strappando un loro manifesto in platea, lì pronto a “sbarrargli” la strada.

Nessuna attenuante per il fatto specifico, dunque, per Brunetta, che da liberale dovrebbe lasciar esprimere i contestatori (assolutamente non violenti, in questo caso), ma certo chi lancia la notizia (Il Fatto Quotidiano) e chi la diffonde (tutti gli altri organi di informazione) non si comporta meglio, titolando appunto “Brunetta contro i precari: «Siete l’Italia peggiore »”.

Tra i giornali, poi, si distingue il Corriere della Sera che, lungi dall’essere autorevole come dovrebbe, nel suo articolo cita Bankitalia: “Condizione che riguarda il 55% dei giovani, secondo Bankitalia”, dando ulteriore adito all’impropria quanto intellettualmente disonesta generalizzazione, ovviamente presa e condivisa come manna dal cielo da molti su Facebook che sommergono il ministro di insulti e creano gruppi di linciaggio.

Lasciamo perdere poi i commenti di Bersani e Vendola perché, beh… Son Bersani e Vendola.

Se questa è l’informazione e questa la capacità di capire quello che, comunque, al loro interno gli articoli contengono (ossia come sono andati veramente i fatti, vedi video)… Se queste sono, dicevo… Ecco a voi il “Popolo di Internet”.


					

CANALE 150 (sul patriottismo fasullo di Antenna 3 e il più insulso degli anniversari).

Basta, non se ne può più. Tutte le sere il solito servizio sull’esposizione del Tricolore e sui 150 anni dell’Unità… Antenna 3 Nordest, con il suo YouTg Unità d’Italia, ha rotto. Basta, per favore, risparmiateci questo patriottismo fasullo, questa logora retorica patriottarda, questo inno di (F)ameli(ci) sparato a tutto volume, questa bandiera riproposta in tutte le salse. Ci manca solo che vi facciate spostare le frequenze sul canale 150 del digitale terrestre.

A chi sperava che la Rai fosse abbastanza, la brutta notizia era arrivata già a inizio anno, se non alla fine dello scorso: anche la trevigiana Antenna 3 (ma forse proprio perché trevigiana, quindi “più in dovere” degli altri di dimostrare il proprio patriottismo di ricorrenza per non essere accusata di eresia leghista) si unisce al coro degli “italianisti” da strapazzo, quelli che si ricordano dell’Italia solo alle partite e devono inventarsi un insulso anniversario per “farla pagare” a chi pensa che un Paese che dopo 150 anni di unità non è ancora unito, forse (forse, eh?) era meglio non unirlo.

150 anni. Centocinquant’anni!!! Ma si è mai visto un anniversario più assurdo? Non 100, non 200… 150! Robe da matti.

Più di un anno (hanno cominciato nel 2010 perché non sapevano come spendere inutili quattrini) di festeggiamenti inventati così, senza un motivo reale se non quello di contrastare chi l’unità non l’ha mai digerita (sì, stiamo parlando della Lega).

Inutile dire che, se non ci fosse la Lega, questo centocinquantesimo dell’unità d’Italia non si celebrerebbe, semplicemente perché non lo sente davvero nessuno e appunto perché ogni logica di anniversario lo escluderebbe.

Ma questa è l’ItaliaFesteggiatela pure, io non ci riesco.

 

P.S.: Sì, ho messo la foto di Melita Toniolo solo per catturare la vostra attenzione.

 

 

LA CARICA DEGLI ANTIMANIPOLATORI… MANIPOLANTI.

Esiste un blog: si chiama “Contro l’informazione manipolata“. Manipolata sì, ma da chi?

Ieri ospitava un articolo di Alberto Statera pubblicato sul sito de La Repubblica, il cui titolo era “Venezia da Mann a Mora” che parlava dell’intenzione della Municipalità di Venezia Lido-Pellestrina, a guida leghista, di affidare il rilancio di quei luoghi con eventi dal forte richiamo mediatico… a Lele Mora. Intenzione (o scelta che sia) discutibile come tutto al mondo è discutibile ma della quale non val la pena star qui a discutere, ché non è ciò che ci interessa.

Ovviamente Statera, che, a differenza di ciò che i suoi compari ripetono come un mantra riferendosi ai giornalisti di Libero o Il Giornale, non definiremo un bravo “servitor del suo padrone” (De Benedetti, editore L’Espresso – La Repubblica, tessera n° 1 del PD), dava all’articolo uno stampo deliberatamente denigratorio, pregno della solita arroganza sinistroide… Ma vabbè, ci può stare, ognuno scrive e legge quello che vuole; su altre testate si possono leggere cose simili di verso opposto. Tutto normale.

Veniamo però al punto. Contro l’informazione manipolata riportava l’intero articolo ma con un titolo diverso: “La Lega Nord affida il rilancio culturale del Lido di Venezia a Lele Mora”. “Rilancio culturale”, dunque, non “rilancio” e basta, come dichiarava chiaramente il Presidente della Municipalità, Giorgio Vianello, nel virgolettato presente nell’articolo: “Il Lido ha bisogno di rilancio e di eventi che attirino l’attenzione generale. Chi è che al Lido potrebbe portare sfilate con i grandi nomi della moda, concerti di Bob Sinclair e Fabri Fibra, idoli dei giovani d’oggi? E poi parliamo di dirette quotidiane dalla spiaggia del Blue Moon con Rtl, radio di livello nazionale, la notte bianca, il torneo di tennis coi calciatori di serie A“.

Chiunque sappia leggere e intendere, capisce al primo istante che si trattava di rilancio economico-commerciale, non certo culturale (e di fatti Vianello non menzionava mai la parola “cultura”), però, chissà perché, il titolo quello recitava: “rilancio culturale” affidato a Lele Mora.

Naturalmente, il post veniva pubblicato anche sulla pagina Facebook del blog e perciò condiviso e commentato da una grande quantità di persone che, com’è uso, a quanto pare, o leggevano solo il titolo, o avendo letto l’intero articolo, non capivano una sega. E così, vai d’insulti e via dicendo, ebbri della propria idiozia.

Certo non ci si poteva aspettare molto da un blog il cui nome è tutto un programma… Ma chi si dichiara “contro l’informazione manipolata” non dovrebbe essere il primo a non manipolarla?

Fonti: http://www.repubblica.it/rubriche/poteri-invisibili/2011/02/08/news/poteri_invisibili_per_pubblico_da_statera-12208534/?ref=HRBP-4

http://www.controlinformazionemanipolata.com/?p=4959

http://www.facebook.com/pages/Contro-linformazione-manipolata/90825690893

PERCHÉ SAKINEH NON POTEVA ESSERE LIBERATA (sulla faciloneria di giornalisti e politici).

Ieri sera, agenzie di stampa riportate dai telegiornali dicevano che Sakineh Mohammadi Ashtiani, la nota donna iraniana in attesa di esecuzione della condanna a morte per coinvolgimento nell’omicidio del marito, veniva scarcerata. Oggi siamo venuti a sapere che la notizia era falsa: la sua “liberazione”, infatti, altro non era che un’uscita dal carcere per recarsi a casa a girare un video di ricostruzione del delitto.

Lasciamo perdere la barbarie della ricostruzione di un delitto da parte degli stessi protagonisti (qualsiasi sia il fine)… Ciò che merita un ragionamento  è l’accoglienza delle due notizie da parte di giornalisti, commentatori e politici.

“Sakineh è stata liberata”: giubilo e felicità, sollievo da parte di tutti. Me compreso, sia chiaro. Poi però stamattina arriva la smentita. A quel punto mi chiedo, per quale motivo, effettivamente, avrebbe dovuto essere scarcerata.

Sakineh, infatti, è stata condannata in 3 gradi di giudizio (settembre 2006, maggio 2007, settembre 2010) all’impiccagione per un omicidio che ha confessato (e non alla morte per lapidazione causa adulterio, cosa per la quale fu già condannata  nel 2006 con 99 frustate   – pena eseguita – anche se in verità si trattò non già di adulterio, bensì di “relazione illecita”, dopo la morte del marito, con altri 2 uomini). La difesa, comunque, dice che l’imputata ha confessato sotto tortura e questo, naturalmente, fa sorgere dei doverosi dubbi sulla regolarità del processo. Ma non possono che restare dei dubbi, non certo certezze.

Questo significa che se anche la condanna a morte non dovesse essere eseguita in seguito, per esempio, a un perdono dell’Ayatollah Khamenei (Guida Suprema della Repubblica teocratica dell’Iran), in ogni caso Sakineh non potrebbe essere liberata, perché dovrebbe comunque scontare la propria pena in carcere (se non erro, l’ergastolo).

Insomma, al netto della giustizia o meno del caso, la liberazione non avrebbe avuto alcun senso, perciò la smentita poteva essere ben prevista. Non si capisce, infatti, come il sistema giudiziario iraniano sarebbe potuto passare da tre sentenze di condanna alla liberazione.

Sia chiaro, non stiamo discutendo del fatto che sia giusto o no che Sakineh sia stata condannata, come della giustizia o meno della pena di morte o delle frustrate per adulterio, giacché per il primo degli argomenti non si hanno conoscenze adeguate, mentre per gli altri due, certamente, almeno per il terzo (io anche per il secondo) possiamo tutti definirci contrari… ma se la legge iraniana quello prevede… Beh, quello prevede.

Stiamo discutendo, infatti, di cosa è plausibile commentare con ragionata soddisfazione e cosa no, o almeno non del tutto. Stiamo ragionando, anche, attorno a quello che oggi un Ministro delle Repubblica come Mara Carfagna dice: “L’auspicio di tutti è che questa donna venga liberata quanto prima”. In base a cosa, non si sa. L’innocenza di Sakineh, infatti, è tutta da dimostrare. In base a quale certezza, allora, si può auspicare una liberazione?

Si può auspicare una commutazione della condanna, dato che l’Italia ripudia la pena di morte, e si poteva auspicare la non condanna per “relazione illecita”… Ma non la liberazione per una persona condannata per omicidio in 3 gradi di giudizio.

Insomma, la questione è abbastanza complicata, e non è nemmeno detto che sia come abbiamo testé illustrato (le notizie su tutto il caso sono contrastanti e pare che la donna in foto non sia nemmeno lei)… Ma di certo non la si può riassumere in slogan e dichiarazioni sbrigative.

QUANDO IL SINDACO È LEGHISTA (sul caso di Yara e le polemiche a senso unico).

Non poteva che saltar fuori qualche imbecille con lo striscione razzista… E non poteva che saltar fuori il solito accostamento (implicito e anche no) con la Lega. Stiamo parlando di Brembate, naturalmente.

Due giorni fa un uomo veniva fatto scendere da un traghetto diretto in Marocco e fermato, accusato di essere coinvolto nella sparizione e probabile uccisione di Yara Gambirasio. E allora giù di titoloni, della serie: “Scomparsa di Yara, fermato un magrebino” (Corriere della Sera), “Yara è stata uccisa, fermato un tunisino” (La Repubblica). Naturalmente, al fatto che l’uomo fosse marocchino (o tunisino, come sembrava all’inizio) veniva (e viene tuttora) dato ampio risalto, con le prevedibili conseguenze del caso.

E così, a Brembate, paese bergamasco preso a modello in questi giorni per discrezione e rispetto nei confronti dei genitori e degli inquirenti, compaiono gli inevitabili (quanto evitabili) striscioni come “Marocchini fuori da Bergamo”, peraltro sparuti. Ma vabbè, chissenefrega, uno solo o due bastano per far notizia.

Perché questo è il punto: cosa fa notizia e cosa non la fa, cosa si scrive e cosa non si scrive… E con quale intenzione. Leggo l’articolo di Marco Imarisio sul Corriere.it e il sottotitolo fa: “Il sindaco leghista prova a calmare gli animi: Ci dissociamo da questi episodi”, salvo poi leggere all’interno dell’articolo: “[…] l’immagine del paese leghista brutto sporco e cattivo […]”.

Ovviamente, nell’articolo equivalente de La Repubblica, come in qualsiasi altro servizio tv/radio (che ho visto/sentito), non si cita l’appartenenza politica del sindaco Diego Locatelli e nemmeno del “compagno di partito” Giacomo Stucchi che dice: Gli squilibrati ci sono ovunque, mi dissocio in tutti i modi contro questi gesti che se la prendono con un’intera comunità, e non contribuiscono sicuramente a creare un clima sereno intorno alle indagini e alla famiglia. Lancio un appello alla calma” (La Repubblica).

Non c’è bisogno di dire che se il sindaco avesse detto, per esempio: Marocchini assassini, a casa!, tutti saremmo stati prontamente informati della sua appartenenza politica. Ma naturalmente, prima bisogna dire che il fermato è extracomunitario (senza che questo sia rilevante ai fini della notizia in sé) e poi bisogna lanciare la polemica sul razzismo degli abitanti del paese bergamasco “leghista sporco e cattivo” (Ma… Rosarno non era in Calabria? E il campo nomadi incendiato di Ponticelli non era a Napoli? E le frequenti aggressioni razziste della periferia romana non sono a Roma, appunto?).

Quindi ora aspettiamoci l’uscita xenofoba di qualche imbecille consigliere comunale targato Lega, l’amplissimo risalto alla sua appartenenza politica e di conseguenza l’accostamento “Lega-razzismo”.

Perché certe associazioni, si sa, vanno fatte a senso unico.

QUALE SCOPO? (sullo sputtanamento di Wikileaks).

La notizia del giorno è senza dubbio il polverone sollevato da Wikileaks e le sue migliaia di file della diplomazia americana sparsa per il mondo che rilevano come gli Usa (o meglio, i suoi funzionari) vedono i capi di Stato e Governo stranieri, oltre che intenzioni e operazioni più o meno riuscite di politica estera sommersa (come le richieste dei sauditi affinché gli Stati Uniti attaccassero l’Iran per impedire il suo armamento nucleare).

Quello che ci si chiede, però, aldilà dei contenuti di tali file, è quale sia lo scopo di questa mega operazione di “contro-informazione”, come essa stessa, per bocca di Julian Assange, si dichiara (ma che pare più che altro di sputtanamento).

Che la diplomazia sia fatta anche e soprattutto di – tanto per non scomodare i servizi segreti – documenti riservati con informazioni sensibili o giudizi al vetriolo su governanti stranieri (nemici o alleati che siano) è cosa risaputa, perciò che qualcuno definisca “pazzo” Chavez o “troppo stanco per i party” Berlusconi, che si dicano cose anche più gravi o che si ordini di spiare Tizio e Caio… non è la scoperta del secolo. La “scoperta del secolo”, semmai, è che si possa bypassare i sistemi di sicurezza americani ed entrare in possesso di tali documenti… Ma questo è un altro discorso.

Lo scopo, si diceva, qual è? Proprio perché si vengono a sapere cose bene o male prevedibili, esso pare essere solo quello di sabotaggio degli Usa e delle loro (ma non solo) relazioni internazionali. Non proprio una nobile causa, potenzialmente e probabilmente pericolosa.

Ne sentivamo davvero il bisogno?