RIFIUTI TOSSICI DAL NORD? SE LI VENIVA A PRENDERE LA CAMORRA (e la camorra è napoletana).

La replica più frequente di napoletani, savianensi e vendoliani alla sacrosanta pretesa dei cittadini del Nord di non essere invasi dall’immondizia napoletana è che “il Nord ha riempito le discariche della Campania di rifiuti tossici”. Argomentazione certamente d’impatto… Ma che fa acqua da tutte le parti.

A parte che:

1. è risaputo quanto il problema dei rifiuti in Campania sia dovuto solo in minima parte a questo, essendoci in quella regione un solo termovalorizzatore a fronte di una raccolta differenziata (almeno per quanto riguarda Napoli) praticamente inesistente;

2. ognuno di noi sa perfettamente quale sia il senso civico dell’italiano medio da Roma in giù in materia di smaltimento dei rifiuti (basta guardare ai lati delle strade);

3. il presunto quanto infondato “debito” del Nord è già stato ampiamente ripianato con gli interventi governativi (cioè a carico della collettività) e delle Regioni che negli ultimi anni si sono sobbarcate l’onere di smaltire i rifiuti di una Napoli in eterna emergenza

…E sebbene 3 aziende venete siano state effettivamente condannate per sversamento illegale di rifiuti tossici in Campania (presupponendo, perciò, una loro responsabilità), non si può certo incolpare il Nord di aver inquinato la Campania semplicemente perché alcune sue industrie si affidarono ad aziende di smaltimento campane che offrivano prezzi altamente concorrenziali e che i rifiuti venivano a prenderseli per lucrare, mica se li trovavano in casa per decreto ministeriale…

I famosi rifiuti tossici del Nord furono portati in Campania non da Zaia o Calderoli, ma dalla camorra che aveva (e molto probabilmente ha tuttora) in mano il business delle ecomafie. Praticamente, le aziende di smaltimento (pagate dalle industrie e non dallo Stato come sarebbe per il trasporto dell’immondizia dalla Campania all’esterno dei suoi confini) dovevano smaltire i rifiuti in discariche apposite per eliminarne la tossicità… Ma non lo facevano, devastando intere aree vergini campane.

Adesso, non so a voi, ma a me hanno sempre detto che la camorra è napoletana… O mi sbaglio?

 

 

LE LAGNE DEL CINEMA, UN FILM GIÀ VISTO (sulla crisi che c’è per tutti).

L’Italia delle lagne non si ferma mai. E i campioni sono quelli della cultura e dello spettacolo. Così giù di manifestazioni, scioperiproteste, richieste di dimissioni al Ministro (chiunque esso sia)… Solita solfa. Un settore che pare morire senza le sovvenzioni statali e le agevolazioni fiscali. La crisi c’è ancora e in tutti i settori si registrano difficoltà, non si capisce dunque perché non debba essere così anche nello spettacolo e nella cultura.

No ai tagli! Ma se i soldi sono pochi, cari miei, sono pochi per tutti. Licenziamenti e persone che perdono il lavoro si trovano in tutte le categorie, eppure proteste e scioperi come quelli del cinema non se ne sono visti. Forse perché in altri settori non si aspetta sempre il sovvenzionamento statale (tranquilli, non stiamo parlando di Fiat, per la quale l’aiuto statale, diretto o indiretto che sia, non manca mai) e ci si dà da fare, secondo le regole del mercato.

In altri Paese, appunto, anche il cinema, lo spettacolo e la cultura seguono le regole del mercato e sono anch’essi business. In Italia no. Perché?

Certo, un sostegno alla cultura è doveroso ma è possibile che sia vitale? Quando impareranno i registi/produttori/teatranti italiani a darsi da fare, confrontarsi con il mercato, creare cultura e arte fruibile a tutti, senza snobismo e a finirla di piangere il morto?

SINDACI E INUTILI ORDINANZE (sulla regolarizzazione della prostituzione).

Ciclicamente salta fuori: è il dibattito sulla riapertura delle case chiuse. E naturalmente, da parte dei sindaci (gli ultimi in ordine di tempo sono Azzolini di Mogliano Veneto, Gentilini – che sarebbe pro-sindaco – di Treviso e vari capomastri della provincia di Treviso confinanti con Pordenone), viene spesso trattato nel peggiore dei modi: annunciando con fantomatiche ordinanze comunali, o anche solo proponendo, la prossima apertura di quartieri a luci rosse. Peccato, però, che la famosa legge Merlin del ’58 lo impedisca.

Sia chiaro, fosse per me, la prostituzione andrebbe regolarizzata (ma non gestita dallo Stato, come qualcuno ipotizza), come una volta, per il solo fatto che la prostituzione (sia da parte dell’offerta che della domanda) sarà anche moralmente discutibile… Ma di fatto non è debellabile e allora, meglio regolarizzarla, eliminando lo sfruttamento e introducendo restrittivi controlli medici periodici oltre che, non da ultima, una doverosa regolarizzazione fiscale.

Si può, poi, discutere se la prostituzione possa rappresentare o meno una fonte di guadagno fine a se stesso (cioè un business) gestito da datori di lavoro (cosa che potrebbe essere vista come uno sfruttamento legalizzato)… Personalmente, credo che il mestiere della prostituta (o gigolò, a seconda dei casi) dovrebbe essere esclusivamente di “libero professionista” senza dipendenti o rientrante in forme collettive come le cooperative.

In ogni caso, sarebbe tutto molto semplice. Ma ciò che rimane necessaria, a monte di tutto, è una legge dello Stato, i comuni da soli non possono far nulla. Ecco perché gli incontri tra sindaci, prefetti, popolazione e giornalisti non servono a nulla se sono improntati su improbabili annunci. Annunci che non valgono un fico secco.

Per fortuna, comunque,  almeno Tosi, sindaco di Verona (anch’egli leghista come Azzolini e Gentilini) ragiona come (non posso dire Cristo…) Cervello comanda: “La prostituzione va regolamentata, intervenga il Parlamento”. Altro che ordinanze comunali.

Perché promuovere un dibattito e sollecitare il Parlamento è una cosa – e allora anche i “convegni” e gli appelli mezzo stampa hanno un senso – annunciare misure concrete inapplicabili è un altro. Ed è una perdita di tempo.