LA CASTA? SIAMO TUTTI NOI (su chi si lamenta della politica ma che grazie alla politica campa).

Capisco, naturalmente, ma fino a un certo punto, la generale indignazione per i mancati tagli alla politica.

Sì, perché 5 anni fa fummo chiamati a confermare (o bocciare –  ciò che poi successe) con un referendum una legge costituzionale già approvata dal Parlamento che tra le altre belle e sacrosante cose (Senato Federale, Devolution e maggiori poteri al premier) prevedeva anche un radicale taglio del numero dei parlamentari (la stessa riforma che in parte ora è tornata d’attualità con la presentazione, ieri, in Consiglio dei Ministri, della cosiddetta “bozza Calderoli”) e perciò dei costi della politica.

Quella fu una grandissima occasione che il popolo italiano VOLLE mancare. Sicché mi chiedo: di chi è la responsabilità?

Sì, perché l’Italia è il Paese dei privilegi, certo, dei raccomandati e delle caste… Ma è anche e soprattutto il Paese dei piagnoni, delle lamentele, delle colpe che sono sempre degli altri e di chi non si vuole mai prendere le responsabilità delle proprie azioni.

È il Paese, poi, di chi la politica la disprezza ma poi grazie alla politica campa da 60 anni, “lavorando” nei vari enti statali e locali paradiso dei fannulloni e pieni di addetti assunti in base a un rapporto clientelare. Il Paese di chi appunto disprezza la “casta” con i suoi privilegi ma guai a toccare il suo posto di lavoro inefficiente e inutile a carico della collettività (vogliamo le ricordare le centinaia di migliaia dipendenti regionali siciliani, forestali calabresi e i tanti che devono ringraziare la DC anche in Veneto? E poi i baby pensionati, i milioni di dipendenti della scuola e via dicendo…).

Il fatto è che tutti, in Italia, devono fare i conti con la coscienza, perché pochi si salvano.

 

 

“TIPO A” E “TIPO B” (riflessione post-referendum sulle reazioni e il rispetto delle idee altrui).

E insomma, il quorum è stato ampiamente raggiunto, i Sì hanno vinto… Ok, così il popolo ha deciso. D’altronde, “vox populi, vox dei”; è la democrazia.

Ma ovviamente non mancano le solite reazioni del cittadino “tipo A” che inneggia all’Italia quando la propria parte politica vince (parte politica intesa in senso lato, quindi non solo i partiti, come appunto nel caso dei referendum) e invece la disprezza quando perde… E del cittadino “tipo B”, che ritiene in mala fede quelli che, riferendoci specificatamente al referendum, legittimamente (ricordiamocelo) hanno esercitato un loro diritto e non sono andati a votare o hanno ritirato solo alcune delle schede.

Il discorso non è nuovo. Se alle elezioni o ai referendum vince Tizio (o i sì/no), allora l’Italia è un popolo di ignoranti plagiati, se invece vince Caio (o i sì/no), allora “l’Italia è ancora viva… Viva l’Italia”; d’altra parte, chi la pensa in un modo è bravo, giusto, onesto… Chi la pensa in un altro modo è tendenzialmente un delinquente o comunque uno stupido.

Il “tipo A” fa ridere ed è da compatire, anche perché il più delle volte non si rende nemmeno conto di quel che dice. Il “tipo B”, invece, è da prendere più sul serio. Ma a prescindere da questo, il centro della questione sta nella matrice comune dei due tipi, ossia il non rispetto di chi la pensa diversamente da sé.

Non si tratta di una questione politica, ma morale. Pensiamoci.

 

 

2 SÌ E PER GLI ALTRI DUE NIENTE QUORUM (all’ipocrisia si risponde con la franchezza).

Sono sempre stato dell’idea che nella vita bisogna essere franchi. E allora sarò franco: ai referendum del 12-13 giugno voterò anche (e in alcuni casi prettamente) secondo logiche politiche e d’interesse, come d’altronde politica e d’interesse (ma ipocrita) è la natura degli stessi referendum e di chi li ha promossi.

2 sì ai referendum sull’acqua… E le altre due schede (nucleare e legittimo impedimento) non le ritirerò, affinché non si raggiunga il quorum.

Piccola parentesi: dovevano essere i referendum tacciati dallo strapotere berlusconiano e quindi messi in sordina… In verità sono i più pubblicizzati di sempre, tanto che ti ritrovi i “4 sì” ovunque posi lo sguardo. In parole povere: non se ne può più.

Ma torniamo alla questione. Sì all’abrogazione della gestione privata dell’acqua e alla renumerazione in bolletta degli investimenti fatti dal gestore, e questo non certo perché “l’acqua deve essere un bene comune e non privato o privatizzato” (espressione senza senso, dato che la legge prevede la sola gestione privata di un bene che comunque rimane pubblico e perciò garantito a tutti), né perché tale scelta si riveli effettivamente migliorativa per l’utenza – giacché il sistema idrico italiano, con un facile gioco di parole, “fa acqua da tutte le parti” e la gestione privata, che ovviamente per le spese che si accollerebbe dovrebbe essere ripagata, sarebbe l’unico modo per ammodernarla e renderla efficiente – bensì perché la liberalizzazione della gestione della rete idrica comporterebbe un consistente aumento della bolletta, cosa che, permettetemi di dire, non credo in questo momento “sia nelle nostre tasche”.

Si può fare un paragone semplice: le ferrovie inglesi (private) hanno una qualità migliore di quelle italiane… Ma costano di più. Vogliamo la qualità? Si paga. Vogliamo un servizio capillare, anche se in perdita? Si paga meno… Ma anche la qualità sarà minore. Da noi, poi, diciamoci la verità, è sempre il solito discorso: la rete idrica meridionale è disastrosa (e le responsabilità sappiamo tutti di chi sono) ma quella padana è accettabile… Lascio a voi le conclusioni.

Nucleare? A prescindere dalle argomentazioni, questo referendum sarebbe da affossare solo per la mistificazione creata attorno all’energia nucleare, propagandata come l’energia della morte… Ma per favore. Argomentazioni? Non investire in energia nucleare significa anche non investire in ricerca, ed energia nucleare non vuol dire solo fissione, ma anche fusione a freddo, che porta (molta) energia pulita (http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/01/14/news/fusione_nucleare_a_freddo_a_bologna_ci_siamo_riusciti-11237521/). Altro che eolico o biomasse. Poche chiacchiere: l’energia nucleare è il futuro.

Legittimo impedimento. È una norma già prevista dal codice penale (richiesta di rinvio dell’udienza per impossibilità a comparire per cause di forza maggiore o gravi impegni particolari) che l’attuale maggioranza ha definito (in via transitoria, tra l’altro, 18 mesi in attesa di una legge costituzionale), precisamente per i ministri (e il Presidente del Consiglio è uno di questi). Praticamente, la convocazione del Consiglio dei Ministri diventa per natura “legittimo impedimento”. Embè? Che c’è di strano? Un Consiglio dei Ministri vi pare una cosa da niente?

Ma lasciando da parte il merito, sul quale si può certo discutere, che la nuova legge sul legittimo impedimento sia stata fatta su misura per Berlusconi è risaputo, mica vogliamo prenderci in giro… Ma proprio perché non vogliamo prenderci in giro, dobbiamo chiederci perché si è arrivati a questo. Due parole: accanimento giudiziario, che è lampante (il caso Ruby è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso) e profondamente ingiusto (non mi dilungherò su questo argomento già affrontato in precedenti post).

Se poi a tutto questo vogliamo aggiungere l’ipocrisa di Di Pietro e De Magistris che, promotori dei referendum, si sono avvalsi del legittimo impedimento (ma certo non quello riservato ai ministri, dato che loro vorrebbero cancellare solo quello e non, per esempio, i lavori parlamentari) per delle inchieste nelle quali erano coinvolti… E il fatto che ancora De Magistris (come altri esponenti dell’Idv e del PD) nel 2009 al Parlamento Europeo votò a favore del nucleare… Beh, che dire: a referendum prettamente politici e d’interesse, risposte anche (e per alcuni, prettamente) politiche e d’interesse.

Francamente.

ABORTO: FU VERA CONQUISTA SOCIALE? (spunti di riflessione)

C’è un argomento di cui si parla poco, in Italia, o comunque solo a tratti, e che invece meriterebbe più attenzione. Si tratta dell’aborto.

In America il dibattito è sempre vivo e l’ultima novità in materia è l’apparizione, a New York, di un grande cartellone pubblicitario ritraente una graziosa bambina di colore sotto la scritta “Il posto più pericoloso per un’afro-americana è nel grembo maternoaffisso dall’associazione Life Always vicino alla sede della più grande rete di cliniche abortive americane, la Planned Parenthood.

Naturalmente sono scoppiate grandi polemiche perché si fa riferimento esplicito alla comunità nera (riferimento che però, aldilà di ragioni/non ragioni di opportunità, appare giustificato, dato che le donne americane di colore ricorrono all’aborto in misura tre volte maggiore rispetto alla media delle altre etnie)… Ma questo ci interessa fino a un certo punto.

Ciò che ci interessa è notare quanto, dopo il referendum del 1981, in Italia l’argomento “aborto” sia visto come qualcosa di superato. Ma siamo davvero sicuri che un tale argomento possa mai definirsi superato? Certo, si tratta di qualcosa di molto complesso e delicato e pensare di poterlo esaurire in poche righe sarebbe ridicolo… Il rischio, se non la certezza, di banalizzazione è altissimo. Ma uno spunto di riflessione è appunto uno spunto.

E allora, fu vera conquista sociale?

In verità, chi lo considera tale non intende l’aborto in sé, quanto il “diritto a” – propugnando e difendendo il concetto di “scelta” – e questa è una doverosa precisazione. Ma francamente, appare difficile considerare l’interruzione di gravidanza – quando non dovuta per salvare la vita o la salute della madre o di un eventuale gemello – qualcosa di diverso da un omicidio (seppur attenuato da ragioni di drammaticità personale/familiare). I (moltissimi) casi, poi, di aborto “facile” per ragioni di convenienza (comprensibile o meno che sia) rappresentano un’enorme piaga sociale (con le dovute proporzioni, sia chiaro) tanto nei Paesi in via di sviluppo quanto in quelli cosiddetti sviluppati.

Definire il diritto all’aborto “conquista sociale”, dunque, anche solo intendendo l’interruzione controllata della gravidanza come legalizzazione di un fenomeno praticamente incontrollabile – e aldilà della famosa legge 194 che prevede l’obiezione di coscienza per i medici contrari –  appare se non altro inopportuno.

Prerogativa femminile? Non credo. E non tanto perché “i figli si fanno in due”, quanto perché quello che molti definiscono il “genocidio invisibile” (i numeri sono impressionanti: si parla di un miliardo di vittime nel Novecento) riguarda l’intera società.

Sìsì, avete letto bene: 1 miliardo.

 

15 a 15. ELEZIONI SUBITO O NO?

Così domani si vota, parliamo di federalismo fiscale. 3 febbraio, giorno della verità. La commissione bicamerale apposita, formata da 30 parlamentari e presieduta da La Loggia (Pdl), si esprimerà sul decreto attuativo che riguarda l’autonomia impositiva comunale.

La Lega, col Ministro Calderoli, cerca ancora la mediazione e cioè la possibilità che almeno un esponente dell’opposizione voti a favore (pare scontato che la Svp, che pure non fa parte della maggioranza, si esprimerà positivamente) ma tutto porta a pensare che si palesi il pareggio: 15 a 15.

Nulla di nuovo, in verità, lo abbiamo già detto più volte. La novità sta nel fatto che la non promozione del federalismo (dato che non sarebbe una vera e propria bocciatura) potrebbe non voler più dire “elezioni anticipate” (come fino a ieri ha sempre dichiarato la Lega), bensì “continuazione in Consiglio dei Ministri o in Parlamento”, poiché la Commissione ha solo un potere consultivo.

Ma a quel punto cosa succederà? Azzardiamo una previsione:  niente elezioni, appunto, dunque nessuna possibilità di far ricadere la responsabilità della mancata approvazione del Federalismo sull’opposizione (cosa che per altro sarebbe inconfutabile) e perciò tutto il tempo, per quest’ultima, di gridare alle “forzature del Governo che non ascolta l’opposizione e i comuni”, all’antidemocrazia governativa e al ricatto leghista… Per poi far partire una potente propaganda mistificatoria come fu per il referendum sulla Devolution del 2006. Alla fine, Sinistra, meridionalisti e democristiani, con il loro enorme potere cultural-mediatico trasformerebbero il federalismo in Male Assoluto.

Fin qua, pazienza. Molti, però, ci cascheranno. Ancora pazienza.

La cosa grave è che, proverbialmente tonti come sono, ci cascheranno molti al Nord (già convinti che ci sarà un aumento delle tasse), con tanti saluti al consenso popolare, per l’ennesimo trionfo della furbizia meridional-democristiana.

Vale la pena creare le condizioni affinché questo accada?