C’è un argomento di cui si parla poco, in Italia, o comunque solo a tratti, e che invece meriterebbe più attenzione. Si tratta dell’aborto.
In America il dibattito è sempre vivo e l’ultima novità in materia è l’apparizione, a New York, di un grande cartellone pubblicitario ritraente una graziosa bambina di colore sotto la scritta “Il posto più pericoloso per un’afro-americana è nel grembo materno” affisso dall’associazione Life Always vicino alla sede della più grande rete di cliniche abortive americane, la Planned Parenthood.
Naturalmente sono scoppiate grandi polemiche perché si fa riferimento esplicito alla comunità nera (riferimento che però, aldilà di ragioni/non ragioni di opportunità, appare giustificato, dato che le donne americane di colore ricorrono all’aborto in misura tre volte maggiore rispetto alla media delle altre etnie)… Ma questo ci interessa fino a un certo punto.
Ciò che ci interessa è notare quanto, dopo il referendum del 1981, in Italia l’argomento “aborto” sia visto come qualcosa di superato. Ma siamo davvero sicuri che un tale argomento possa mai definirsi superato? Certo, si tratta di qualcosa di molto complesso e delicato e pensare di poterlo esaurire in poche righe sarebbe ridicolo… Il rischio, se non la certezza, di banalizzazione è altissimo. Ma uno spunto di riflessione è appunto uno spunto.
E allora, fu vera conquista sociale?
In verità, chi lo considera tale non intende l’aborto in sé, quanto il “diritto a” – propugnando e difendendo il concetto di “scelta” – e questa è una doverosa precisazione. Ma francamente, appare difficile considerare l’interruzione di gravidanza – quando non dovuta per salvare la vita o la salute della madre o di un eventuale gemello – qualcosa di diverso da un omicidio (seppur attenuato da ragioni di drammaticità personale/familiare). I (moltissimi) casi, poi, di aborto “facile” per ragioni di convenienza (comprensibile o meno che sia) rappresentano un’enorme piaga sociale (con le dovute proporzioni, sia chiaro) tanto nei Paesi in via di sviluppo quanto in quelli cosiddetti sviluppati.
Definire il diritto all’aborto “conquista sociale”, dunque, anche solo intendendo l’interruzione controllata della gravidanza come legalizzazione di un fenomeno praticamente incontrollabile – e aldilà della famosa legge 194 che prevede l’obiezione di coscienza per i medici contrari – appare se non altro inopportuno.
Prerogativa femminile? Non credo. E non tanto perché “i figli si fanno in due”, quanto perché quello che molti definiscono il “genocidio invisibile” (i numeri sono impressionanti: si parla di un miliardo di vittime nel Novecento) riguarda l’intera società.
Sìsì, avete letto bene: 1 miliardo.