L’INCONSISTENTE USCITA DI MARONI (sulla Nato che dovrebbe bloccare i barconi di profughi).

Con tutta la stima che ho di Roberto Maroni… L’ultima sulle navi della Nato che dovrebbero bloccare, oltre che le merci in ingresso (ciò che già fanno), anche i barconi di immigrati in uscita dalla Libia, pare proprio essere un’inconsistente quanto inopportuna sortita pre-Pontida dal mero valore politico, più che una fattibile proposta.

Perché certamente la Nato non si assumerebbe mai la responsabilità di fermare quelli che, in fin dei conti, sono profughi (anche se non solo) di guerra tutelati da precisi accordi internazionali.

Non che la proposta di Maroni sia del tutto sbagliata, quanto al merito, d’altronde i profughi provenienti dalla Libia sono mandati apposta da Gheddafi che li usa come arma contro l’Italia, rea, secondo lui, di averlo tradito. Perciò potrebbe trattarsi di una (seppur “sui generis”) temporanea azione militare di difesa.  Ma appunto la fattibilità (che non è sinonimo di giustizia) appare minima se non nulla.

Insomma, certo, i barconi che arrivano dalla Libia non sono pieni solo di profughi di guerra, bensì anche di clandestini di altri Paesi e, con tutta la delicatezza che l’argomento impone, si possono, almeno in parte, anche definire “armi” (pregasi leggere il termine senza pregiudiziale indignazione), e dalle armi, qualunque esse siano, ci si deve difendere.

Tra l’altro,  l‘Onu potrebbe costruire campi profughi nella Libia “liberata” (posto dove, appunto, le navi della Nato potrebbero portare i profughi dei barconi)…  Ma allo stato attuale questa è fantapolitica (che non è sinonimo di sciocchezza).

Maroni ha parlato in veste di Ministro… Ma il suo è un discorso da esponente politico di un partito, la Lega, che sta cercando di recuperare quella parte di consenso che ha perso alle ultime amministrative.

C’è da chiedersi se non avrebbe fatto meglio delegare la proposta a un non-ministro… Che ne so, al capogruppo alla Camera…

 

 

 

BRUNETTA SBAGLIA CON I CONTESTATORI (PRECARI) MA I GIORNALI FANNO PEGGIO.

Notiziuncola del giorno: Brunetta tratta male chi lo contesta (sai che novità) e subito passa per quello che disprezza i precari. Precari in quanto tale, s’intende. Tutti i precari, perché sarebbero “l’Italia peggiore”.

Una colossale baggianata, ovviamente. Perché Brunetta pronuncia, sì, tali parole (e in faccia)… Ma non rivolgendosi “ai precari” di tutt’Italia, bensì a quelli che in quel preciso momento (alla “Giornata Nazionale dell’Innovazione” che si è tenuta a Roma) lo contestano.

Il ministro, va detto, si comporta malissimo, perché prima li invita sul palco, poi, appena questi pronunciano due parole, se ne va indispettito, definendoli “l’Italia peggiore”, appunto, e strappando un loro manifesto in platea, lì pronto a “sbarrargli” la strada.

Nessuna attenuante per il fatto specifico, dunque, per Brunetta, che da liberale dovrebbe lasciar esprimere i contestatori (assolutamente non violenti, in questo caso), ma certo chi lancia la notizia (Il Fatto Quotidiano) e chi la diffonde (tutti gli altri organi di informazione) non si comporta meglio, titolando appunto “Brunetta contro i precari: «Siete l’Italia peggiore »”.

Tra i giornali, poi, si distingue il Corriere della Sera che, lungi dall’essere autorevole come dovrebbe, nel suo articolo cita Bankitalia: “Condizione che riguarda il 55% dei giovani, secondo Bankitalia”, dando ulteriore adito all’impropria quanto intellettualmente disonesta generalizzazione, ovviamente presa e condivisa come manna dal cielo da molti su Facebook che sommergono il ministro di insulti e creano gruppi di linciaggio.

Lasciamo perdere poi i commenti di Bersani e Vendola perché, beh… Son Bersani e Vendola.

Se questa è l’informazione e questa la capacità di capire quello che, comunque, al loro interno gli articoli contengono (ossia come sono andati veramente i fatti, vedi video)… Se queste sono, dicevo… Ecco a voi il “Popolo di Internet”.


“TIPO A” E “TIPO B” (riflessione post-referendum sulle reazioni e il rispetto delle idee altrui).

E insomma, il quorum è stato ampiamente raggiunto, i Sì hanno vinto… Ok, così il popolo ha deciso. D’altronde, “vox populi, vox dei”; è la democrazia.

Ma ovviamente non mancano le solite reazioni del cittadino “tipo A” che inneggia all’Italia quando la propria parte politica vince (parte politica intesa in senso lato, quindi non solo i partiti, come appunto nel caso dei referendum) e invece la disprezza quando perde… E del cittadino “tipo B”, che ritiene in mala fede quelli che, riferendoci specificatamente al referendum, legittimamente (ricordiamocelo) hanno esercitato un loro diritto e non sono andati a votare o hanno ritirato solo alcune delle schede.

Il discorso non è nuovo. Se alle elezioni o ai referendum vince Tizio (o i sì/no), allora l’Italia è un popolo di ignoranti plagiati, se invece vince Caio (o i sì/no), allora “l’Italia è ancora viva… Viva l’Italia”; d’altra parte, chi la pensa in un modo è bravo, giusto, onesto… Chi la pensa in un altro modo è tendenzialmente un delinquente o comunque uno stupido.

Il “tipo A” fa ridere ed è da compatire, anche perché il più delle volte non si rende nemmeno conto di quel che dice. Il “tipo B”, invece, è da prendere più sul serio. Ma a prescindere da questo, il centro della questione sta nella matrice comune dei due tipi, ossia il non rispetto di chi la pensa diversamente da sé.

Non si tratta di una questione politica, ma morale. Pensiamoci.

 

 

SEMPLICE, VELOCE, INDOLORE (una soluzione per il caso Battisti).

Son passati già due giorni e ancora non è successo quello che dovrebbe succedere. Ossia una “misteriosa” sparizione in Brasile e un “fortuito” ritrovamento in Italia. Di cosa stiamo parlando? Beh, di chi stiamo parlando, casomai. È presto detto: di Cesare Battisti.

L’Italia si è resa ridicola per l’ennesima volta di fronte agli occhi del mondo intero e non per le puttanate di Berlusconi… Ma per cose serie, ossia l’incapacità di farsi rispettare e far rispettare la propria democrazia e il proprio sistema giuridico da un Paese che fino a ieri era una dittatura. Robe da matti.

Cesare Battisti, terrorista rosso condannato in via definitiva per 4 omicidi è libero di spassarsela tra samba e caipirinha, alla faccia delle vittime e dei parenti ancora in attesa di giustizia (che probabilmente non avranno mai).

Saranno contenti quegli “intellettuali” di sinistra italiani e francesi che nel 2004 firmarono (vedi qui) affinché la Francia lo liberasse da una breve incarcerazione dopo anni e anni di libertà protetta dalla cosiddetta “dottrina Mitterrand” e che lodano o denigrano la Giustizia e la Magistratura italiana a seconda di chi da queste viene beneficiato o danneggiato (avversari versus loro stessi o loro amici).

Alcuni nomi? Tiziano Scarpa, scrittore, Paolo Cento, politico (Sinistra Ecologia e Libertà, il partito di Vendola) e Roberto Saviano, che nel 2009, raggiunta la fama con Gomorra, si affrettò a ritirare la firma “in rispetto delle vittime”. Ma per favore…

Son passati due giorni, si diceva, e ancora non è successo quello che ci si aspetta dai nostri Servizi Segreti. Una cosa molto semplice, veloce e indolore: sparizione dell’assassino e fortuito ritrovamento della Polizia nei pressi dell’aeroporto di Fiumicino.

E dentro, in galera.

2 SÌ E PER GLI ALTRI DUE NIENTE QUORUM (all’ipocrisia si risponde con la franchezza).

Sono sempre stato dell’idea che nella vita bisogna essere franchi. E allora sarò franco: ai referendum del 12-13 giugno voterò anche (e in alcuni casi prettamente) secondo logiche politiche e d’interesse, come d’altronde politica e d’interesse (ma ipocrita) è la natura degli stessi referendum e di chi li ha promossi.

2 sì ai referendum sull’acqua… E le altre due schede (nucleare e legittimo impedimento) non le ritirerò, affinché non si raggiunga il quorum.

Piccola parentesi: dovevano essere i referendum tacciati dallo strapotere berlusconiano e quindi messi in sordina… In verità sono i più pubblicizzati di sempre, tanto che ti ritrovi i “4 sì” ovunque posi lo sguardo. In parole povere: non se ne può più.

Ma torniamo alla questione. Sì all’abrogazione della gestione privata dell’acqua e alla renumerazione in bolletta degli investimenti fatti dal gestore, e questo non certo perché “l’acqua deve essere un bene comune e non privato o privatizzato” (espressione senza senso, dato che la legge prevede la sola gestione privata di un bene che comunque rimane pubblico e perciò garantito a tutti), né perché tale scelta si riveli effettivamente migliorativa per l’utenza – giacché il sistema idrico italiano, con un facile gioco di parole, “fa acqua da tutte le parti” e la gestione privata, che ovviamente per le spese che si accollerebbe dovrebbe essere ripagata, sarebbe l’unico modo per ammodernarla e renderla efficiente – bensì perché la liberalizzazione della gestione della rete idrica comporterebbe un consistente aumento della bolletta, cosa che, permettetemi di dire, non credo in questo momento “sia nelle nostre tasche”.

Si può fare un paragone semplice: le ferrovie inglesi (private) hanno una qualità migliore di quelle italiane… Ma costano di più. Vogliamo la qualità? Si paga. Vogliamo un servizio capillare, anche se in perdita? Si paga meno… Ma anche la qualità sarà minore. Da noi, poi, diciamoci la verità, è sempre il solito discorso: la rete idrica meridionale è disastrosa (e le responsabilità sappiamo tutti di chi sono) ma quella padana è accettabile… Lascio a voi le conclusioni.

Nucleare? A prescindere dalle argomentazioni, questo referendum sarebbe da affossare solo per la mistificazione creata attorno all’energia nucleare, propagandata come l’energia della morte… Ma per favore. Argomentazioni? Non investire in energia nucleare significa anche non investire in ricerca, ed energia nucleare non vuol dire solo fissione, ma anche fusione a freddo, che porta (molta) energia pulita (http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/01/14/news/fusione_nucleare_a_freddo_a_bologna_ci_siamo_riusciti-11237521/). Altro che eolico o biomasse. Poche chiacchiere: l’energia nucleare è il futuro.

Legittimo impedimento. È una norma già prevista dal codice penale (richiesta di rinvio dell’udienza per impossibilità a comparire per cause di forza maggiore o gravi impegni particolari) che l’attuale maggioranza ha definito (in via transitoria, tra l’altro, 18 mesi in attesa di una legge costituzionale), precisamente per i ministri (e il Presidente del Consiglio è uno di questi). Praticamente, la convocazione del Consiglio dei Ministri diventa per natura “legittimo impedimento”. Embè? Che c’è di strano? Un Consiglio dei Ministri vi pare una cosa da niente?

Ma lasciando da parte il merito, sul quale si può certo discutere, che la nuova legge sul legittimo impedimento sia stata fatta su misura per Berlusconi è risaputo, mica vogliamo prenderci in giro… Ma proprio perché non vogliamo prenderci in giro, dobbiamo chiederci perché si è arrivati a questo. Due parole: accanimento giudiziario, che è lampante (il caso Ruby è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso) e profondamente ingiusto (non mi dilungherò su questo argomento già affrontato in precedenti post).

Se poi a tutto questo vogliamo aggiungere l’ipocrisa di Di Pietro e De Magistris che, promotori dei referendum, si sono avvalsi del legittimo impedimento (ma certo non quello riservato ai ministri, dato che loro vorrebbero cancellare solo quello e non, per esempio, i lavori parlamentari) per delle inchieste nelle quali erano coinvolti… E il fatto che ancora De Magistris (come altri esponenti dell’Idv e del PD) nel 2009 al Parlamento Europeo votò a favore del nucleare… Beh, che dire: a referendum prettamente politici e d’interesse, risposte anche (e per alcuni, prettamente) politiche e d’interesse.

Francamente.

IL GIALLO DEI PROFUGHI (sul trasferimento degli immigrati da Lampedusa alla terraferma).

C’è un “giallo” attorno a Lampedusa e agli immigrati clandestini giunti in massa in questi giorni. Si tratta del loro trasferimento sulla terraferma per mezzo della nave San Marco (che ne imbarcherà 700 per volta) e il contemporaneo “via libera” dato dalle Regioni all’accoglienza di 50.000 potenziali profughi dalla Libia (rifugiati politici provenienti da un paese in guerra), cioè di persone che l’Italia è obbligata ad accogliere secondo i (giusti) accordi internazionali.

Bene, la discrepanza è evidente: gli immigrati presenti ora a Lampedusa provengono tutti dalla Tunisia e comunque non dalla Libia. Dove sono destinati a essere trasferite, allora, queste 700 persone al giorno (beh, a viaggio, più precisamente)?

Il dubbio sorge spontaneo: non è che, a differenza di quanto dichiarato dal Ministro dell’Interno Maroni e dal Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, Vasco Errani, quei 50.000 comprenderanno anche gli immigrati tunisini che, ricordiamo, non sono rifugiati politici, bensì immigrati clandestini?

Luca Zaia ha precisato che il Veneto si farà carico dei rifugiati per affrontare l’emergenza… Ma appunto si farà carico dei rifugiati, non dei clandestini, per i quali dovrebbe essere invece previsto il rimpatrio.

Il sospetto è che una volta trasferiti in ciascuna Regione ci si accorgerà con “grande meraviglia”, che non si tratterà di rifugiati libici, bensì di clandestini tunisini… Ma ormai sarà troppo tardi.

Maroni, non vorrai giocarci questo brutto scherzo, vero?

AGGIORNAMENTO delle 11:50 – Il Viminale (Maroni) ribadisce che l’accordo con le Regioni vale solo per i profughi e non per i clandestini, per i quali è previsto il rimpatrio.

La destinazione degli immigrati caricati sulla San Marco, però, rimane ignoto. Staremo a vedere.

FONTE: http://www.ilgiornale.it/interni/porte_aperte_50mila_profughi_i_clandestini_verranno_rimpatriati/aeroporti_roma-acquario_genova-cc/23-03-2011/articolo-id=513105-page=0-comments=1

CANALE 150 (sul patriottismo fasullo di Antenna 3 e il più insulso degli anniversari).

Basta, non se ne può più. Tutte le sere il solito servizio sull’esposizione del Tricolore e sui 150 anni dell’Unità… Antenna 3 Nordest, con il suo YouTg Unità d’Italia, ha rotto. Basta, per favore, risparmiateci questo patriottismo fasullo, questa logora retorica patriottarda, questo inno di (F)ameli(ci) sparato a tutto volume, questa bandiera riproposta in tutte le salse. Ci manca solo che vi facciate spostare le frequenze sul canale 150 del digitale terrestre.

A chi sperava che la Rai fosse abbastanza, la brutta notizia era arrivata già a inizio anno, se non alla fine dello scorso: anche la trevigiana Antenna 3 (ma forse proprio perché trevigiana, quindi “più in dovere” degli altri di dimostrare il proprio patriottismo di ricorrenza per non essere accusata di eresia leghista) si unisce al coro degli “italianisti” da strapazzo, quelli che si ricordano dell’Italia solo alle partite e devono inventarsi un insulso anniversario per “farla pagare” a chi pensa che un Paese che dopo 150 anni di unità non è ancora unito, forse (forse, eh?) era meglio non unirlo.

150 anni. Centocinquant’anni!!! Ma si è mai visto un anniversario più assurdo? Non 100, non 200… 150! Robe da matti.

Più di un anno (hanno cominciato nel 2010 perché non sapevano come spendere inutili quattrini) di festeggiamenti inventati così, senza un motivo reale se non quello di contrastare chi l’unità non l’ha mai digerita (sì, stiamo parlando della Lega).

Inutile dire che, se non ci fosse la Lega, questo centocinquantesimo dell’unità d’Italia non si celebrerebbe, semplicemente perché non lo sente davvero nessuno e appunto perché ogni logica di anniversario lo escluderebbe.

Ma questa è l’ItaliaFesteggiatela pure, io non ci riesco.

 

P.S.: Sì, ho messo la foto di Melita Toniolo solo per catturare la vostra attenzione.

 

 

INTERROGAZIONI SCONCLUSIONATE (la lingua italiana, questa sconosciuta).

A quelli del PD non dev’essere proprio andato giù il rifiuto bossiano di far cadere Berlusconi per far passare il federalismo. È sempre la solita storia: la Lega e i suoi voti, come i suoi parlamentari, fanno comodo a tutti, perciò quando può servire viene incensata e corteggiata (come Bersani qualche settimana fa), quando invece non si presta al giochetto… Giù di tutto.

Certo, Bossi se le va sempre a cercare (e lui si diverte un casino) e le sue proverbiali sparate, pur avendo tutte le carte in regola per non fare più notizia, ormai, la notizia la fanno sempre.

Oggi parliamo delle famigerate armi che lo stesso Bossi avrebbe chiesto a Gheddafi, all’epoca della secessione. Si tratta dell’ultimo delirio del Colonnello al quale il Ministro per le Riforme ha risposto nel seguente modo: «Ma vi pare. Per fortuna abbiamo tantissimi uomini e le armi si fanno in Lombardia».

La frase è naturalmente discutibile e sicuramente, come molte altre volte, Bossi avrebbe potuto risparmiarsela… Ma il punto non è questo (ché tanto già ci penseranno in molti – i soliti – a versare fiumi d’inchiostro). Il punto è che Ettore Rosato, membro dell’Ufficio di presidenza del gruppo del PD alla Camera, annuncia un’interrogazione al Ministro della Difesa, con questa motivazione: «Il governo spieghi le parole gravi di un suo esponente: Umberto Bossi ha infatti sostenuto di non aver alcun bisogno di chiedere aiuto a Gheddafi per la secessione della Padania visto che la Lega dispone di tantissimi uomini e armi, tra l’altro prodotte in Lombardia».

Evidentemente, Ettore Rosato deve aver problemi con la lingua italiana e la sua comprensione. Bossi, infatti, non ha detto di avere armi, bensì tanti uomini (e che la Lega abbia parecchi voti e sia capace di mobilitare migliaia di persone – proprio come il PD – è risaputo), aggiungendo che le armi si fanno in Lombardia (cosa altrettanto risaputa). Insomma: se proprio avesse avuto bisogno di armi (cosa ipotetica ed evidentemente iperbolica), di certo non le avrebbe chieste a Gheddafi, visto che si producono in Lombardia.

C’è da chiedersi se quelli del PD abbiano proprio così tanto tempo da perdere per chiedere inutili e sconclusionate interrogazioni parlamentari. Ma forse (forse, eh?), oltre a far firmare a Lenin e Superman insulse richieste di dimissioni di Berlusconi , è l’unica cosa che sanno fare.

FEDERALISMO MUNICIPALE, FINALMENTE (luci e ombre di una giusta legge).

E così il federalismo municipale è legge. Inutile dire che si tratta di una rivoluzione fiscale senza precedenti che trasforma completamente il modo in cui i comuni si finanzieranno (e si auto-finanzieranno). Non si tratta certo del compimento della grande riforma federale (che, certo, di veramente federale ha poco, il federalismo è ben altra cosa), poiché, come dice Bossi, il bello deve ancora venire (federalismo fiscale regionale e provinciale)… Ma in ogni caso un altro tassello è stato messo al proprio posto.

Si alzeranno le tasse? Tema controverso. La possibilità di alzare l’addizionale comunale Irpef fino a un massimo dello 0,4% (per arrivare – credo ma non ne sono sicuro – allo 0,9%, poiché il massimo attuale è 0,5%), l’introduzione della “tassa di scopo” per finanziare eventuali opere all’interno del comune e della tassa di soggiorno (fino a un massimo di 5 euro a notte) per i turisti di città capoluogo, città d’arte e comuni turistici inducono a pensare di sì.

In realtà, il calcolo non è così semplice, poiché, sebbene la tassa di soggiorno sembri essere obbligatoria ed effettivamente abbastanza odiosa – pur lasciando la facoltà di chiedere anche solo 1 euro (per esempio) e non 5 – le prime 2 imposte saranno facoltative (e andrà da sé che i sindaci che le vorranno attuare ne risponderanno di fronte ai propri cittadini, i quali appunto sapranno se rieleggerli oppure no).

Facile la replica: “I comuni sono troppo alle strette per permettersi il lusso di non applicare gli aumenti” ma c’è da considerare che la riforma prevede la compartecipazione al 50% degli stessi comuni nelle (inasprite) sanzioni sull’evasione fiscale sui redditi da locazione (cioè sugli immobili e sugli affitti), cosa che li renderà interessati a far emergere i cosiddetti “immobili fantasma”. E questo cosa significa, in parole povere? Che i comuni potranno evitare di alzare l’addizionale Irpef e recuperare denaro con una più efficiente lotta all’evasione.

Un’altra buona notizia, poi, riguarda la nuova tassazione sugli affitti (la cosiddetta cedolare secca) ai proprietari che prevederà un’aliquota unica del 21% (e non dunque, com’è adesso, quella del proprio scaglione Irpef che, a seconda del reddito, è 23%, 27%, 38%, 41% o 43%). Si calcola che ne guadagneranno in tanti (tutti coloro che dichiarano un reddito superiore ai 15.000 euro annui), mentre non ci perderà nessuno, anche perché chi vorrà – nel caso gli convenga, è ovvio – potrà scegliere di continuare a pagare secondo la logica attuale.

Tutto questo non basterà? Probabile. Ma è qui che entrano in campo i famosi “costi standard”: i trasferimenti dello Stato centrale agli enti locali si baseranno su un massimo di spesa che questi potranno permettersi (cioè: se il comune X deve comprare una penna, non potrà spendere più di quanto non spenda il “comune virtuoso” Y, altrimenti si arrangia, lo Stato non pagherà la differenza). In questo modo, finalmente, gli enti locali saranno responsabilizzati, così da finirla una volta per tutte con gli sprechi prontamente ripianati dallo Stato, e cioè da Pantalone.

E allora? E allora, a quel punto, le spese statali diminuiranno e finalmente le tasse nazionali (l’Irpef, per esempio) potranno calare (oltre ad avere benefici sul debito pubblico).

Certo, tutto questo sarà da vedere… Perciò, “aumento sì” o “aumento no” – anzi, “meno tasse per tutti”? Difficile a dirsi, la materia è molto complicata e ci vorranno anni prima che vada a regime. Tutto questo per dire che ora come ora non si può essere né assolutamente entusiasti, né tragicamente pessimisti, come già a Sinistra (ovviamente) sono.

La cosa importante e positiva, comunque, è che finalmente si comincerà ad avere un fisco più giusto e federale (nel senso che ogni comune avrà una buona fonte di auto-finanziamento con, di conseguenza, maggiore coinvolgimento politico-economico), oltre che una strabenedetta responsabilizzazione degli enti locali, con la (speriamo) fine di molti sprechi.

Bossi dice che è una buona legge. Forse, più che buona, è sostanzialmente giusta. Insomma, non sarà la manna dal Cielo… Ma ricordiamoci, siamo pur sempre nella (stramaledetta) Italia.

ABORTO: FU VERA CONQUISTA SOCIALE? (spunti di riflessione)

C’è un argomento di cui si parla poco, in Italia, o comunque solo a tratti, e che invece meriterebbe più attenzione. Si tratta dell’aborto.

In America il dibattito è sempre vivo e l’ultima novità in materia è l’apparizione, a New York, di un grande cartellone pubblicitario ritraente una graziosa bambina di colore sotto la scritta “Il posto più pericoloso per un’afro-americana è nel grembo maternoaffisso dall’associazione Life Always vicino alla sede della più grande rete di cliniche abortive americane, la Planned Parenthood.

Naturalmente sono scoppiate grandi polemiche perché si fa riferimento esplicito alla comunità nera (riferimento che però, aldilà di ragioni/non ragioni di opportunità, appare giustificato, dato che le donne americane di colore ricorrono all’aborto in misura tre volte maggiore rispetto alla media delle altre etnie)… Ma questo ci interessa fino a un certo punto.

Ciò che ci interessa è notare quanto, dopo il referendum del 1981, in Italia l’argomento “aborto” sia visto come qualcosa di superato. Ma siamo davvero sicuri che un tale argomento possa mai definirsi superato? Certo, si tratta di qualcosa di molto complesso e delicato e pensare di poterlo esaurire in poche righe sarebbe ridicolo… Il rischio, se non la certezza, di banalizzazione è altissimo. Ma uno spunto di riflessione è appunto uno spunto.

E allora, fu vera conquista sociale?

In verità, chi lo considera tale non intende l’aborto in sé, quanto il “diritto a” – propugnando e difendendo il concetto di “scelta” – e questa è una doverosa precisazione. Ma francamente, appare difficile considerare l’interruzione di gravidanza – quando non dovuta per salvare la vita o la salute della madre o di un eventuale gemello – qualcosa di diverso da un omicidio (seppur attenuato da ragioni di drammaticità personale/familiare). I (moltissimi) casi, poi, di aborto “facile” per ragioni di convenienza (comprensibile o meno che sia) rappresentano un’enorme piaga sociale (con le dovute proporzioni, sia chiaro) tanto nei Paesi in via di sviluppo quanto in quelli cosiddetti sviluppati.

Definire il diritto all’aborto “conquista sociale”, dunque, anche solo intendendo l’interruzione controllata della gravidanza come legalizzazione di un fenomeno praticamente incontrollabile – e aldilà della famosa legge 194 che prevede l’obiezione di coscienza per i medici contrari –  appare se non altro inopportuno.

Prerogativa femminile? Non credo. E non tanto perché “i figli si fanno in due”, quanto perché quello che molti definiscono il “genocidio invisibile” (i numeri sono impressionanti: si parla di un miliardo di vittime nel Novecento) riguarda l’intera società.

Sìsì, avete letto bene: 1 miliardo.